ENRICO IV
di Luigi Pirandello
diretto e con Franco Branciaroli
personaggi interpreti
Enrico IV Franco Branciaroli
La Marchesa Matilde Spina Viola Pornaro
Sua figlia Frida Valentina Violo
Il giovane Marchese Carlo di Nolli Tommaso Cardarelli
Il Barone Tito Belcredi Giorgio Lanza
Il Dottor Dionisio Genoni Antonio Zanoletti
I tre finti Consiglieri Segreti:
Landolfo (Lolo) Sebastiano Bottari
Arialdo (Franco) Mattia Sartoni
Bertoldo (Fino) Andrea Carabelli
Il vecchio cameriere Giovanni Giovanni Battista Storti
scene e costumi Margherita Palli
luci Gigi Saccomandi
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano / Teatro de Gli Incamminati
RESIDENZA DI RIALLESTIMENTO
durata h. 2.15 con 1 intervallo
inizio spettacoli venerdì e sabato h 21.00; domenica h 17.00
Note
Siamo seri per un momento. Se fate gli attori e non riuscite a farvi sentire in un teatro da un migliaio di posti, c’è qualcosa che non va; dovreste scendere dal palcoscenico e tornarvene a casa. Tornate a scuola di recitazione, o dovunque vi porti l’istinto, ma allontanatevi dal palcoscenico.
È previsto che le opere teatrali vengano recitate. Non possono essere pronunciate come se si trattasse di una conversazione e poi amplificate; questo non è più teatro, è televisione. L’unica amplificazione corretta e necessaria in teatro è l’impegno dell’artista (e qui mi riferisco soprattutto allo scrittore e all’attore), impegno che basta a rispedire il primo alla macchina da scrivere e il secondo a scuola di recitazione, in caso non siano in grado di farsi sentire.
Lo scrittore che crea comportamenti invece di comporre drammi ha ovviamente bisogno di attori che recitino col microfono, perché le sue parole non risvegliano nell’attore alcuna necessità di parlare, alcuna necessità di farsi udire. L’attore che accetta di usare il microfono sulla scena sta distruggendo l’arte della recitazione e il proprio mezzo di sussistenza; smantella la professione con gli stessi mezzi che usa la televisione quando dice all’artista: “È sufficiente che ti metta là davanti alle telecamere e dica le battute”.
L’arte del teatro è azione. È studio dell’impegno. La parola è atto. Pronunciare le parole in modo da farsi sentire e capire da tutte le persone presenti in un teatro è impegno; l’arte suprema è vedere un essere umano sulla scena che parla a un migliaio di suoi pari e afferma: “Le parole che dico sono la verità, non qualcosa che gli somiglia. Sono verità divina e sono pronto a sostenerle a prezzo della vita”, esattamente quello che l’attore fa sul palcoscenico.
Priva di tale impegno, la recitazione diventa prostituzione e la scrittura pubblicità.
Assumiamoci la responsabilità di mettere in scena qualcosa che valga la pena di essere detto, qualcosa che gli attori si sentano spinti dal profondo a recitare con impegno e che il pubblico si senta spinto dal profondo ad ascoltare. Questi sono, da sempre, i limiti delle nostre responsabilità.
Ha detto Neil Simon che le risate registrate hanno ucciso la commedia televisiva perché gli scrittori non avevano più bisogno di essere divertenti. L’amplificazione elettronica sta uccidendo e ucciderà il teatro di Broadway perché attori e scrittori non sentiranno più la necessità di parlare ad alta voce.
[da Note in margine a una tovaglia di David Mamet]
Il testo
Franco Branciaroli, dopo i recenti successi ottenuti con Servo di scena, Il Teatrante e Don Chisciotte, continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena Enrico IV, dramma in tre atti di Luigi Pirandello, scritto nel 1921 e rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Considerato tra i capolavori di Pirandello, è uno dei titoli della trilogia del ‘teatro nel teatro’ insieme a Sei personaggi in cerca di autore e Questa sera si recita a soggetto. Enrico IV è anche uno studio sul significato della pazzia e sul rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità, tema molto caro all'autore.
In una lettera che Pirandello scrive a Ruggero Ruggeri – attore, nato a Fano, tra i più grandi dell'epoca - il drammaturgo agrigentino dopo avergli raccontato la trama, conclude dicendogli che vede in lui il solo in grado d’interpretare e dare corpo e anima al ruolo del titolo. Scrive infatti: “Circa vent'anni addietro, alcuni giovani signori e signore dell'aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una ‘cavalcata in costume’ in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s'era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s'era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il meglio possibile, s'era dato la pena e il tormento d'uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un mese ossessionato. (...) Senza falsa modestia, l'argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte.”
Il personaggio di Enrico IV, del quale non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua identità fittizia, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera, poi cosciente, ma dell'impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno. Non gli rimane che un’unica scelta: ‘interpretare’ il ruolo fisso del pazzo.