Uomo e galantuomo

sabato 20, domenica 21 dicembre 2014
G. Imparato e G. Esposito in Uomo e Galantuomo
di Eduardo De Filippo
con Gianfelice Imparato, Giovanni Esposito,
Valerio Santoro, Antonia Truppo
regia Alessandro D’Alatri

e con Monica Assante di Tatisso, Giancarlo Cosentino, Gennaro Di Biase, Fabrizio La Marca, Ida Brandi, Federica Aiello
scene Aldo Buti
costumi Valentina Fucci
disegno luci Adriano Pisi
musiche Riccardo Eberspacher
produzione Associazione Culturale LA PIRANDELLIANA con L’INCREDIBILE s.r.l.
Lo spettacolo ha vinto il Premio “MIGLIOR SPETTACOLO” del Festival di Borgio Verezzi 2013

Inizio spettacoli: sabato h 21.00; domenica h 17.00

 

Io scrivo per tutti, ricchi, poveri, operai, professionisti… tutti, tutti! Belli, brutti, cattivi, buoni, egoisti. Quando il sipario si apre sul primo atto d’una mia commedia, ogni spettatore deve potervi trovare una cosa che gli interessa. [Eduardo De Filippo]

Note di regia
Eduardo De Filippo si descriveva così parlando del suo lavoro. La lessi ancora ragazzo e mi rimase impressa nel cuore. Ma l’ho sentita ancor più forte quando è nata l’opportunità di poter allestire Uomo e galantuomo. Tutto è nato durante le pause di lavoro di Tante belle cose quando in cerca di uno spazio fumatori mi ritrovavo clandestino assieme a Gianfelice Imparato. L’affetto, la stima, il divertimento che mi procurava la sua “napoletaneità” stavano gettando le basi per farmi abbracciare da vicino Eduardo. Valerio Santoro, giovane e meritevole produttore, intuì e agì.
Il mio legame con Eduardo si perde nell’infanzia: ancora bambino, di famiglia umile, ricordo che un giorno alla settimana, quando la televisione italiana era tutta un’altra cosa, veniva programmato il teatro. Tra le mie opere preferite c’erano quelle di Eduardo e per questo avevo il permesso di andare a letto più tardi del solito. Le ricordo in bianco e nero e, a differenza del teatro dal vero, con i primi piani degli attori. Tra tutti, per espressività e capacità interpretativa, mi colpiva l’intensità di Eduardo. Riusciva a divertirmi facendomi credere ai drammi che stava interpretando. Una vera magia.
È con questo rispetto che mi sono avvicinato alla regia di Uomo e galantuomo. Un testo giovanile (1922) classificato spesso come farsa. Una definizione che ho sempre sentito stretta. Infatti, seppure caratterizzata da una ricca serie di battute ed episodi irresistibilmente comici, nella commedia emergono una gran quantità di contraddizioni tra l’apparire e l’essere della borghesia contro il dramma proletario di chi ogni giorno affronta la sopravvivenza. Falso perbenismo contro tragedia. Onore da salvare contro fame. E in tutto questo dov’è l’uomo e dove il galantuomo?
Ecco perché considero Uomo e galantuomo una commedia di altissimo livello, forse la più divertente, ma che sicuramente segnò per Eduardo il passaggio dalla farsa al teatro di prosa. E guarda caso al centro della commedia c’è proprio il teatro: una scalcagnata compagnia, nominatasi “L’eclettica” (proprio perché non pone limiti alle proprie attitudini artistiche), porta in scena in una località turistica balneare Malanova di Libero Bovio. Attraverso il classico meccanismo della commedia degli equivoci, si scatena così il teatro nel teatro, la follia tra farsa e dramma evocando sapori pirandelliani. Ma si respirano anche profumi di Goldoni, di Skakespeare, e forse anche un po’ di quel teatro dell’assurdo che va da Osborne a Beckett a Jonesco. L’assenza di talento e l’improvvisazione della compagnia fanno infatti da contrappasso ai drammi borghesi interpretati invece con talento e una vena di follia. Sullo stesso palcoscenico della vita saranno più attori i benestanti, i cui sforzi mirano ad interpretare ruoli d’apparenza che i veri commedianti, protesi, senza alcuna esigenza interpretativa, soltanto a sopravvivere al quotidiano.
C’è tutto questo nel mio progetto di regia. C’è il rispetto per l’imponenza di una figura che considero un protagonista del teatro del Novecento che invoca di essere affrontato con il giusto rigore che merita. Lo spazio scenico viene riempito dalle anime di quegli esseri umani mentre l’allestimento è cornice che le libera dal realismo per ricondurre la drammaturgia al centro della rappresentazione. È ovvio che si rida molto, ma con quel rigore di cui Eduardo si è fatto ambasciatore della sua arte nella storia.
Un’ultima cosa. Napoli e la sua lingua. Non starò qui ad elencare tutte le profonde radici che mi legano a quella città. Ma Napoli è un luogo che o lo contieni o è difficile da raccontare. Aspettavo da tempo questo appuntamento artistico con lei, con la sua ironia, a volte apparentemente eccessiva, ma così densa di umanità e poesia da renderla ogni volta “teatro”. [Alessandro D’Alatri]

 

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